Il corpo che si stringe.
- 16 apr
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L’intrappolamento come logica evolutiva del dolore nell’età adulta

“Dottore, ho dolore alla spalla, ma la risonanza dice che è tutto a posto.” “Mi si addormenta il braccio, soprattutto la notte.” “Quando cammino, sento tirare dietro al ginocchio, ma non ho stirato nulla.” Frasi come queste si ripetono ogni giorno nei contesti di terapia manuale, riabilitazione e medicina del movimento. Apparentemente diverse, raccontano in realtà la stessa storia: il corpo ha perso spazio. Spazio non solo anatomico, ma anche funzionale. Con l’età e con l’accumulo di gesti ripetuti, posture croniche, stress o traumi, le strutture del corpo cominciano a muoversi meno bene tra loro. I nervi si stirano, i tendini sfregano, le fasce si addensano, i visceri perdono mobilità. E quando qualcosa non scorre più, nasce il dolore. È qui che entra in gioco un concetto chiave: l’intrappolamento. Non è solo una compressione nervosa, come si pensa comunemente. È tutto ciò che ostacola il movimento naturale di una struttura che, per funzionare, ha bisogno di passare, scivolare, respirare. Non serve una lesione o un’ernia per parlare di intrappolamento: può bastare una fascia che ha perso elasticità, un tessuto meno idratato, uno schema motorio irrigidito nel tempo. Con l’invecchiamento biologico, questo spazio vitale si restringe. Le fasce diventano meno elastiche, il liquido interstiziale si riduce, i piani di scorrimento si incollano, le pressioni interne non si ridistribuiscono più in modo fluido. Ed ecco che il corpo si stringe, letteralmente. Una spalla non è più libera, un’anca va in conflitto, un diaframma schiaccia i visceri. Le strutture cominciano a urtarsi, ad adattarsi male, e così si attiva il dolore. Ogni passaggio anatomico può diventare un potenziale punto di attrito. Il tendine del sovraspinato, nello spazio subacromiale, può trovarsi intrappolato da un ritmo scapolo-omerale alterato. Il piriforme può stringere il nervo sciatico se il bacino ha perso la sua mobilità fisiologica. Nella zona cervicale e toracica, clavicola, scaleni e prima costa possono comprimere vasi e nervi nel cosiddetto stretto toracico. E ancora: l’intestino può aderire al peritoneo dopo una flogosi, la pelvi può congestionarsi se le pressioni addominali non si distribuiscono, il diaframma può diventare un tappo rigido che blocca tutto ciò che sta sotto. Ma l’intrappolamento non è mai solo locale. La clinica ci insegna che il punto che fa male non coincide quasi mai con il punto che ha originato il problema. Un dolore alla spalla può nascere da un piede rigido. Una parestesia al braccio può dipendere da un torace bloccato. Un’epicondilite può riflettere una tensione cervicale profonda. Il corpo è un sistema integrato: le forze si distribuiscono, si compensano, si deviano. Se una zona perde la sua funzione o la sua mobilità, altre parti si caricano di un peso non loro. Da questa osservazione nasce il modello aNETomy, un sistema di lettura del corpo basato sull’idea che le disfunzioni si propagano in rete. Le Progressive Tensional Forces descrivono proprio come la tensione viaggi lungo traiettorie adattive, creando attrattori e compensi a distanza. In questa visione, l’intrappolamento non è l’inizio, ma la conseguenza periferica di un disordine centrale nella distribuzione delle forze. Per questo, trattare il sintomo non basta. Bisogna capire da dove arriva la tensione, dove si è incagliata la dinamica, dove il corpo ha smesso di respirare. E una volta compreso il meccanismo, il trattamento deve essere integrato: non solo decontrarre o allungare, ma liberare, decongestionare, restituire spazio. Si lavora localmente per ripristinare lo scorrimento di un nervo o la mobilità di una fascia, ma si lavora anche sul sistema, per riorganizzare i vettori di forza, rieducare il movimento, ristabilire simmetrie, modulare il tono neurovegetativo. Perché il corpo non guarisce se lo si forza, ma se lo si mette nelle condizioni di autoregolarsi. Il compito del terapeuta non è solo togliere il dolore, ma facilitare un nuovo equilibrio adattativo. L’intrappolamento, in fondo, non è un errore, ma un tentativo del corpo di proteggersi, un compenso adattativo che nel tempo potrebbe rappresentare un costo eccessivo per l'organismo. Comprenderlo in tempo significa leggere il dolore non come un difetto, ma come un messaggio chiaro che ci chiede di intervenire in modo intelligente, sistemico, progressivo. Più spazio, meno dolore: non è solo uno slogan, è una direzione terapeutica. Una strada per aiutare il corpo a ritrovare la sua naturale capacità di fluire, muoversi, guarire.
Se senti che il tuo corpo si è “ristretto”, se il dolore non trova una spiegazione o se le terapie localizzate non bastano più, forse è il momento di cambiare approccio.
Gli operatori aNETomy sono specializzati nella lettura sistemica del network biomeccanico del corpo umano. Non cercano solo dove fa male, ma analizzano come e perché il corpo ha perso spazio, equilibrio, funzione.
Attraverso strumenti clinici, palpatori e di analisi della rete anatomica, identificano i percorsi disfunzionali e guidano un trattamento realmente personalizzato, basato su sofisticate misurazioni che guideranno la riprogrammazione posturale, articolare e la capacità del corpo di auto-riorganizzarsi.
Perché a volte, per guarire, serve prima capire come tutto è collegato.
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